Rapporto di lavoro di diritto privato: l’assoluzione penale del dipendente non ha efficacia di giudicato nel contesto dell’impugnativa del licenziamento
Il giudice del lavoro, anche in presenza di assoluzione penale per gli stessi fatti che hanno determinato il licenziamento, ha il potere di ricostruire autonomamente i fatti materiali con pienezza di cognizione e di pervenire a valutazioni del tutto svincolate dall’esito del procedimento penale, valutando la gravità del comportamento del lavoratore

Nel contesto di un rapporto di lavoro di diritto privato, la sentenza penale di assoluzione del dipendente non ha efficacia di giudicato nel giudizio di impugnativa del licenziamento disciplinare, contrariamente a quanto previsto per i rapporti di pubblico impiego. Di conseguenza, il giudice del lavoro, anche in presenza di assoluzione penale per gli stessi fatti che hanno determinato il licenziamento, ha il potere di ricostruire autonomamente i fatti materiali con pienezza di cognizione e di pervenire a valutazioni del tutto svincolate dall’esito del procedimento penale, valutando la gravità del comportamento del lavoratore. Questi i punti fermi fissati dai giudici (ordinanza numero 30748 del 29 novembre 2024 della Cassazione), chiamati a prendere in esame il caso di dipendente di una società messo alla porta nonostante l’assoluzione penale per i fatti posti alla base del licenziamento. In secondo grado è stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento, alla luce del giudicato nel parallelo procedimento penale, recante l’assoluzione del lavoratore per insussistenza del fatto, assoluzione con effetti diretti, secondo i giudici di merito, sul procedimento disciplinare. Opposta, invece, la visione dei magistrati di Cassazione, i quali, accogliendo le obiezioni sollevate dalla società, pongono in dubbio la reintegra del lavoratore. In sostanza, la sentenza penale di assoluzione, in seguito a dibattimento, non ha efficacia di giudicato nel giudizio di impugnativa di una sanzione disciplinare irrogata nell’ambito di un rapporto di lavoro di diritto privato, nel caso in cui non ricorra il presupposto della costituzione del datore di lavoro quale parte civile nel processo penale, in quanto la norma comporta l’efficacia di giudicato di tale sentenza (quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso) solo relativamente ai rapporti di pubblico impiego, facendo riferimento al giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità. Ciò comporta che il giudice del lavoro adito con impugnativa del licenziamento, ove pure irrogato in base agli stessi comportamenti che furono oggetto di imputazione in sede penale, non è affatto obbligato a tener conto dell’accertamento contenuto nel giudicato di assoluzione del lavoratore, ma ha il potere di ricostruire autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti materiali e di pervenire a valutazioni del tutto svincolate dall’esito del procedimento penale. In ogni caso, poi, la valutazione della gravità del comportamento del lavoratore, ai fini della verifica della legittimità del licenziamento per giusta causa, deve essere dal giudice operata tenendo conto dell’incidenza del fatto commesso sul particolare rapporto fiduciario che lega le parti nel rapporto di lavoro, delle esigenze poste dall’organizzazione produttiva e delle finalità delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione, indipendentemente dal giudizio che del medesimo fatto dovesse darsi ai fini penali.