La convivenza non determina automaticamente il reato di maltrattamenti in famiglia

I giudici sottolineano che il concetto di convivenza richiede una relazione affettiva continua e stabile. La convivenza non deve essere confusa con la semplice coabitazione, ma deve riflettere una relazione personale caratterizzata dalla condivisione effettiva e dalla comunanza materiale e spirituale nella vita quotidiana.

La convivenza non determina automaticamente il reato di maltrattamenti in famiglia

Un uomo è stato accusato di perpetuare violenze nei confronti della compagna, con la quale ha avuto una relazione stabile che ha portato alla nascita di una figlia, nonostante non abbiano mai convissuto. I giudici di merito hanno ritenuto il comportamento dell'uomo come maltrattamenti in famiglia, senza considerare rilevante il fatto che non ci sia stata convivenza.

Nel ricorso in Cassazione, l'avvocato difensore ha messo in dubbio la condanna sottolineando la mancanza di prove riguardanti la convivenza tra l'uomo e la parte offesa. I giudici di terzo grado hanno chiarito che, sebbene non ci sia stata convivenza, la relazione stabile e duratura ha portato alla definizione di un rapporto di solidarietà familiare, ma non di convivenza ai sensi della legge.

La legge richiede che il reato di maltrattamenti in famiglia sia commesso nei confronti di un familiare o di un convivente. La Corte ha spiegato che la figura del convivente si riferisce a una persona che vive stabilmente e condivide una vita comune nello stesso luogo. L'accusa di maltrattamenti in famiglia deve verificare la presenza di una convivenza effettiva, non solo basata su una relazione affettiva.

La Corte Costituzionale ha sottolineato la necessità di chiarire se una relazione affettiva breve e con permanenze non continue possa essere considerata convivenza. La questione della convivenza deve essere legata a una relazione caratterizzata da continuità e stabilità, e non deve essere confusa con la mera coabitazione occasionale.

In conclusione, la Cassazione ha rimandato la questione ai giudici di secondo grado, affermando che non è possibile etichettare i maltrattamenti in famiglia basandosi solo su una relazione stabile senza esplorare la dimensione della convivenza: la convivenza deve essere caratterizzata da una condivisione reale e da una comunanza di vita materiale e spirituale, pertanto la condanna per maltrattamenti in famiglia richiede la presenza effettiva di una convivenza, non solo di una relazione sentimentale (Cass. n. 32466 del 9 agosto 2024).

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